Benozzo Gozzoli, Le triomphe de saint Thomas d'Aquin, 1471

mercredi 11 juin 2014

Una nuova tesi sul costitutivo del trascendentale aliquid

        Qualche volta, gli studiosi cambiano parere, dopo aver nuovamente ripreso un problema e riconsiderato la bibliografia ivi relativa. Ci è capitato in questi giorni con la difficile nozione di aliquid, quel trascendentale che viene tematizzato soltanto del primo articolo delle Quaestiones disputatae De veritate. Offriamo ai nostri lettori questa versione modificata, sopratutto per quanto riguarda l’additio rationis propria di questo trascendentale, che ora ci appare come una negazione.

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            Lo statuto trascendentale dell’aliquid è ancora più delicato di quello della res, giacché san Tommaso lo tematizza in maniera esplicita fra le nozioni convertibili con l’ente soltanto nell’articolo iniziale del De veritate:

Si autem modus entis accipiatur secundo modo, scilicet secundum ordinem unius ad alterum, hoc potest esse dupliciter. Uno modo secundum divisionem unius ab altero et hoc exprimit hoc nomen aliquid: dicitur enim aliquid quasi aliud quid, unde sicut ens dicitur unum in quantum est indivisum in se ita dicitur aliquid in quantum est ab aliis divisum[1].

Colpisce il collegamento fra lo aliquid e lo unum, che nasce dalla loro comune matrice, cioè la nozione di divisione. Posto infatti che hoc ens non est illud ens, il primo ente si rivela indiviso in sé, comme lo abbiamo visto, mentre il secondo viene espressamente diviso dal primo. Aliquid esprime quindi il rapporto di alterità che risulta, nell’ente, dal paragone con altri enti.
            Quale sarà lo statuto epistemologico ed ontologico di questa divisio ab altero? Visto il silenzio dell’Aquinate su questo preciso problema, è opportuno consultare il parere dei suoi interpreti. In maniera analogicamente simile a quella proposta per la res che egli metteva in rapporto polare allo ens, Jan Aertsen vede nello aliquid il trascendentale correlativo dello unum, in base ad una notazione molto interessante della Quaestio disputata De anima: «Vnumquodque enim in quantum est unum, est in se indiuisum et ab aliis distinctum»[2]. Capito in questa ottica, lo aliquid sembra ridursi ad un’implicazione dell’unum, benché l’autore preferisca non assumere una posizione chiara in merito. Anche Stanislas Breton, in un saggio molto stimolante sulla genesi dei trascendentali, suggerisce che l’aliquid prende posto in una costellazione dove l’autonomia gli viene negata. Infatti, esso sarebbe una conseguenza della diremtion operata negli enti dall’essenza, la quale non può costituire un ente senza distinguerlo dagli altri. Così l’aliquid si ricollegherebbe al diversum, a sua volta postulato dall’unum in seguito alla res[3]. La difficoltà comune, mutatis mutandis, a queste due posizioni, risiede nel rifiuto di tenere conto della ratio propria che oppone comunque lo aliquid all’uno: essendo quest’ultimo una proprietà trascendentale, perché non lo sarebbe quello, che vi si oppone in maniera polare come lo indivisum in se dal divisum ab aliis?
            È proprio in questa prospettiva che Philip Rosemann coglie l’aliquid all’interno di una potente dialettica dell’identità e dell’alterità, che sarebbe la cornice del «sistema» ontologico tomistico, sbaratto per indicarne l’apertura trascendente. Per essere, l’ente deve sì essere sé stesso; ma ciò passa attraverso il distinguersi dagli altri, e quindi attraverso l’essere altro degli altri; pertanto, l’ente media sé stesso grazie al suo rapporto all’altro che gli conferisce la sua propria identità. L’aliquid, speculativamente e non solo etimologicamente letto come aliud quid, diventa allora il perno di tutta l’ontologia, giacché la verità dell’ente consiste, in ultima analisi, nel suo essere in rapporto ad altro[4]. Da questa ipotesi scaturisce una concezione fortemente dinamista dell’ente, che costituisce sé stesso uscendo da sé. Ora sebbene troviamo dal Rosemann sviluppi assai interessanti sulla necessaria connessione fra l’ente e la sua operatività, egli ci sembra non sufficientemente onorare il principio secondo il quale «esse est aliquid fixum et quietum in ente»[5], per cui le proprietà dell’ente, in quanto consecutive al suo esse costitutivo, debbono trascendere la mutabilità: come l’unità, la verità o la bontà di un ente qualunque, sostanziale o accidentale, non sono assoggettate al cambiamento, così anche deve essere il «qualcosa».
            Perciò altri autori concedono allo aliquid una specifica additio rationis che lo contraddistinguerebbe dall’ente senza compromettere la stabilità di quest’ultimo. In un articolo monografico dedicato a questo problema, Heinz Schmitz insisteva sull’originalità dell’aliquid rispetto all’unum, nonché sulla sua indipendenza rispetto alla molteplicità reale degli enti. Per questo studioso, che riconosce il suo debito nei confronti di Jacques Maritain e di Giovanni di San Tommaso, si deve accuratamente distinguere fra la nostra conoscenza dell’aliquid da una parte, e il suo costitutivo formale d’altra parte. Nell’ordine della scoperta, la nozione di aliquid ci viene svelata a partire dal giudizio hoc non est illud che presuppone, a sua volta, la pluralità reale degli enti, e che ci conduce a intuire in questo ente «qualcosa» di diverso di quell’altro ente. In questo modo, arriviamo alla nozione di aliquid, che comprende la nozione di ente e una negazione di identità rispetto ad ogni «altro» ente. Però, nell’ordine dell’essere, questa alterità non presuppone necessariamente l’esistenza reale di altri enti: infatti, se ci fosse un solo ente, questo sarebbe ancora altro che tutti gli enti semplicemente possibili, e di conseguenza non lascierebbe di essere un aliud quid[6]. Tale alterità si distingue quindi dall’unità, che riguarda l’ente in sé; ma essa appartiene all’ente in virtù di sé stesso, perché è anteriore alla molteplicità reale degli enti.
            Questa posizione è stata duramente contestata da Giovanni Ventimiglia, per il quale lo aliquid è precisamente il trascendentale che esprime la necessaria diversità degli enti. A questo scopo, egli mette in risalto i luoghi dove san Tommaso annovera il multum fra i trascendentali[7]. Ora la molteplicità viene definita in termini simili a quelli usati per lo aliquid:

Patet ergo quod unum quod convertitur cum ente, ponit quidem ipsum ens, sed nihil superaddit nisi negationem divisionis. Multitudo autem ei correspondens addit supra res, quae dicuntur multae, quod unaquaeque eraum sit una, et quod una eraum non sit altera, in quod consistit ratio distinctionis. Et sic, cum unum addat supra ens unam negationem, - secundum quod aliquid est indivisum in se, - multitudo addit duas negationes, prout scilicet aliquid est in se indivisum, et prout est ab alio divisum. Quod quidem dividi est unum eorum non esse alterum[8].

Alla luce di questo testo, lo aliquid sembra essere l’uno che è parte di una molteplicità, e che si definisce, sotto questo preciso aspetto, come ciò che è ab alio divisum, il che equivale alla formula del De veritate. Il Ventimiglia ne trae in sostanza due conclusioni legate fra di loro: in primo luogo, lo aliquid deve essere interpretato come il diversum che è consecutivo alla molteplicità[9]; in secondo luogo, la trascendentalità dello aliquid, così inteso, prova che la molteplicità è altrettanto intrinseca all’ente come lo è la sua unità[10]. In ultima analisi, questa coestensione dell’unità e della pluralità rimanda al mistero trinitario, che appare allora come la chiave risolutiva della metafisica[11].
            Una simile fondazione trinitaria dello aliquid non può essere recepita, perché toglierebbe alla metafisica il suo statuto di scienza accessibile alla ragione naturale[12]. Ma, sul piano propriamente filosofico, quale è il rapporto fra lo aliquid e il diversum? Se si identificassero totalmente, come lo vuole Giovanni Ventimiglia, allora lo aliquid dipenderebbe dalla molteplicità reale dell’ente. Ci pare che un segmento del Super Boetium De Trinitate illumini il problema. Ci si chiede se l’alterità sia la causa della pluralità, vale a dire della molteplicità reale. Per rispondere positivamente a questo quesito, l’Aquinate introduce una distinzione fra la divisio, che precede la pluralità, e la diversitas, che è invece posteriore alla pluralità:

Et secundum hoc uerum est quod Boetius dicit, quod alteritas est principium pluralitatis: ex hoc enim alteritas in aliquibus inuenitur, quod eis diuersa insunt; quamuis autem diuisio precedat pluralitatem pri(m)orum, non tamen diuersitas, quia diuisio non requirit utrumque condiuisorum esse ens, cum sit diuisio per affirmationem et negationem, set diuersitas requirit utrumque esse ens, unde presupponit pluralitatem[13].

Il principio di soluzione del nostro problema si trova nella sequenza abbozzata in queste righe. Prima si dà la divisione, che non richiede la realtà delle sue parti; poi vi è la pluralità, che invece è reale; e finalmente viene la diversità, che presuppone parimenti la realtà degli enti diversi. Ovviamente, dobbiamo chiarire il discorso, che senza spiegazione rimarrebbe esoterico. All’ente in quanto ente si oppone soltanto il non-ente; perciò, a questo determinato ente si oppone originariamente la negazione che toglie anche una sola determinazione formale di questo ente. Ad esempio, ad «animale razionale», che è la definizione dell’uomo, si oppone l’«animale non-razionale», prescindendo dall’esistenza di animali non razionali. A questo stadio, abbiamo una semplice divisio fra animale razionale ed animale non razionale, in virtù dell’affermazione e della negazione, cioè di un’opposizione di contraddizione[14]. Se poi, come è il caso, esistono animali sia razionali che non razionali, la contraddizione fra razionale e non-razionale lascia il posto alla contrarietà fra animale razionale ed animale non-razionale, la quale implica prima l’esistenza di entrambi gli opposti, poi il loro rapporto di alterità. In questa fase, abbiamo la diversità reale fra tutto ciò che è animale razionale e tutto ciò che è invece animale non razionale, quindi fra uomo e bestia. Tornando sul registro trascendentale, possiamo ora dire che l’opposizione fra hoc ens e non hoc ens è una divisione, la quale non richiede, in quanto tale, l’esistenza reale del «non questo ente», mentre l’opposizione fra hoc ens e illud ens connota invece una diversità reale fra «questo ente» e «quello ente». Sotto il primo aspetto, hoc ens è un aliquid, perché è soltanto virtualmente diviso dagli altri enti; sotto il secondo aspetto, per contro, hoc ens è un diversum, perché è attualmente opposto a illud ens, che è anche reale. Così la divisione caratteristica dello aliquid precede la molteplicità, ed anche la causa[15], ma solo dal punto di vista formale, giacché la pluralità effettiva degli enti dipende dalla libera volontà del Creatore, e non può certamente essere dedotta dalla ratio entis. In questo modo, rispondiamo a Giovanni Ventimiglia che le sue considerazioni valgono riguardo al molteplice ed al diverso, ma che nondimeno il trascendentale aliquid rimane anteriore alla molteplicità reale degli enti, cosicché può essere predicato di Dio prima dell’assenso di fede al mistero della Santissima Trinità. Last but not least, abbiamo anche evidenziato che l’additio rationis costitutiva dello aliquid è la negazione di ragione per la quale diciamo che «questo ente non è non-questo ente».




[1] QD De veritate, q. 1 a. 1c.
[2] QD De anima, q. 3c. Cf. Jan Aertsen, Medieval Philosophy and the Transcendentals…, 223: «Every being is a “thing”, for it has through its essence or quiddity a stable and determinate mode of being. Every determination includes a negation. This being is not that being: they are opposed, not as beings as such but insofar as they heve determinate modes of being. Only if “being” is considered as “thing” can one being be formally divides from another being. Our conclusion is that the transition from the negation of being to the division in Thomas’s account of the primary notions is only comprehensible if the transcendentals res and aliquid are taken into consideration».
[3] Cf. Stanislas Breton, «L’idée de transcendantal et la genèse des transcendantaux chez saint Thomas d’Aquin», in AA.VV., Saint Thomas d’Aquin aujourd’hui, Desclée de Brouwer, Paris 1963, 51: «L’essence, avons-nous dit, est la première expression de l’être en tout ce qui est. Or l’essence ne constitue qu’en distinguant et ne distingue qu’en constituant. Elle implique dès lors, et nécessairement, une marge d’altérité, un horizon qui l’enrobe de tout ce qui n’est pas elle. La négation, en tant que division, n’est donc pas simple privation. Elle fonde un univers qui ne serait pas un dans le divers qu’elle introduit».
[4] Cf. Philipp W. Rosemann, Omne ens est aliquid, Introduction à la lecture du «système» philosophique de saint Thomas d’Aquin, Éditions Peeters, Louvain Paris 1996, 51: «Un étant est quelque chose ou une chose (unum) seulement en étant “un autre ‘quoi’”, une autre chose (aliud quid) – par quoi il faut entendre: en étant une autre chose que les autres choses, c’est-à-dire en n’étant pas autre qu’il n’est… Pour être, l’étant doit alors à la fois rester lui-même et se distinguer par rapport aux autres. Or un étant ne peut se distinguer par rapport aux autres que s’il s’y rapporte, c’est-à-dire s’il sort de son “en-soi”, s’éloigne pour ainsi dire de lui-même et s’aliène, voire devient “autre” que lui-même».
[5] CG I, c. 20 n. 27 (Marietti, n. 179).
[6] Cf. Heinz Schmitz, «Un transcendantal méconnu», in Cahiers Jacques Maritain 2 (1981), 21-51. Leggiamo a p. 41 : «L’Aliquid exprime l’être de chaque étant ; non certes l’être comme présenté purement et simplement par le concept d’être, mais l’être comme connotant la relation d’altérité. Cette relation que notre esprit établit en comparant les êtres entre eux, doit être comprise comme une condition requise du côté de notre pouvoir intellectif afin qu’il puisse saisir l’être lui-même comme Aliquid. Dès lors que cette condition est réalisée, l’être lui-même se manifeste comme une perfection chaque fois originale et partout unique. Affirmer que l’être est quelque chose, qu’il est Aliquid, ne signifie nullement que la perfection d’être exige de soi une pluralité de réalisations. S’il n’y avait qu’un seul être, il serait encore Aliquid, c’est-à-dire nécessairement autre que tous les êtres possibles, et en ce sens nécessairement unique».
[7] Cf. ad esempio ST I, q. 30 a. 3c: «considerandum est quod omnis pluralitas consequitur aliquam divisionem. Est autem duplex divisio. [...] Alia est divisio formalis, quae fit per oppositas vel diversas formas: et hanc divisionem sequitur multitudo quae non est aliquo genere, sed est de transcendentibus»; q. 50 a. 3 ad 1: «multitudo est de transcendentibus»; QD De spiritualibus creaturis, a. 8 ad 15: «in substantiis immaterialibus est multitudo que est de transcendentibus, secundum quod unum et multa diuidunt ens».
[8] QD De potentia, q. 9 a. 7c.
[9] In Sententia super Metaphysicam V, lc. 11 n. 2 (Marietti, n. 907), Tommaso vede nel diversum il molteplice nel genere della sostanza; ma si può ovviamente estendere analogicamente il significato di questo termine ad ogni membro di una molteplicità.
[10] Cf. Giovanni Ventimiglia, Differenza e contraddizione..., 245: «Ovunque c’è essere, lì c’è anche – dice Tommaso, dietro la cortina di quelle parole desuete e tecniche – nello stesso tempo, unità e distinzione, l’“uno” e, insieme, l’“altro”: è il paradosso ed il mistero stesso dell’essere che ci si presenta, in tutta la sua affascinante ed inquietante realtà, non appena cerchiamo un poco di allontanare la caligine “in qua habitare dicitur”».
[11] Cf. Giovanni Ventimiglia, Differenza e contraddizione..., 244, nota 106: «la divisio espressa dal termine aliquid corrisponde a quella proprietà per la quale Dio, essere unico ed individuale per essenza, è nello stesso tempo, in forza della Trinità delle sue Persone, in senso proprio e reale, internamente differenziato».
[12] Ricordiamo che il mistero trinitario esula assolutamente, per l’Aquinate, dal perimetro della ragione filosofica, secondo ST I, q. 32 a. 1c: «Per rationem igitur naturalem cognosci possunt de Deo ea quae pertinent ad unitatem essentiae, non autem ea quae pertinent ad distinctionem Personarum».
[13] Super Boetium De Trinitate, q. 4 a. 1c.
[14] Cf. Expositio Libri Peryermenias I, lc. 9 n. 7: « Dicit ergo primo quod cum cuilibet affirmationi opponatur negatio, et e converso, oppositioni huiusmodi imponatur nomen hoc, quod dicatur contradictio».
[15] Cf. QD De potentia, q. 9 a. 7 ad 15: «divisio est causa multitudinis, et est prior secundum intellectum quam multitudo […]. Quantumcumque enim aliqua intelligantur divisa, non intelligetur multitudo, nisi quodlibet divisorum intelligatur esse unum». Ora, l’essere uno presuppone l’essere ente; perciò la molteplicità non si dà mai a priori, ma viene data con gli enti stessi. La trascendentalità del multum è quindi consecutiva alla presenza attuale di una pluralità di enti. In questo caso, transcendens ha anzitutto il senso di sopracategoriale.